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giovedì 27 dicembre 2007

Pasta e fagioli: il piatto nazionale

Quale è il piatto più "nazionale" d’Italia? Cioè quello presente veramente in tutte le regioni, dalle Alpi al Mediterraneo? Facile, è la pasta e fagioli. Certo, i tipi di fagioli usati sono diversi, come pure i tipi di pasta ed i condimenti utilizzati. Però un piatto di pasta e fagioli lo troverete ovunque. Alla base c'è un alimento straordinario: il fagiolo.

La storia della pasta e fagioli inizia oltre duemila anni fa: il fagiolo e il grano duro, amanti per contrasto sia per il contenuto dei nutrienti sia per forma che per colore si dettero appuntamento in Italia, alcuni dicono a Roma altri ipotizzano Napoli, per consumare una notte di passione. Il letto di nozze avrebbe dovuto essere appunto una pasta e fagioli. Il grano duro fu il primo ad arrivare sul luogo dell’appuntamento: arrivò intorno al primo secolo a.C..

Il fagiolo invece non fu puntuale: viveva in America e fu costretto ad aspettare Cristoforo Colombo che finalmente arrivò esattamente nel 1492. Il fagiolo, grazie alle scoperte geografiche di quell’epoca ed alle imprese dei navigatori spagnoli e portoghesi, riuscì ad imbarcarsi per il vecchio continente solo intorno al 1530 insieme ad altre colture come i pomodori e i peperoni. Nel XVI secolo, infatti, giunsero in Europa. Nel frattempo il grano duro si consumava in un’estenuante attesa cercando invano di abbellire la mensa degli uomini di potere.


Il Lucano
Orazio, Poeta latino di Venosa, nato nel 65 a.C., nella VI Satira racconta che amava tornare al borgo natio per mangiare la zuppa “lucana”, ceci e porri. Era un piatto semplice, molto amato dal poeta, forse non troppo dissimile dalla nostra pasta e ceci.

Secondo gli studiosi di gastronomia è questo il primo riferimento scritto alla pasta, la cui invenzione pare possa essere attribuita agli Italiani, dal momento che anche atti notori del 1244 e 1279 citano questo prodotto e che Marco Polo tornò dalla Cina solo nel 1292, cioè ampiamente dopo queste date. Alla base della preparazione della pasta è la straordinaria qualità del grano duro che in Italia aveva trovato condizioni ideali e che è stato coltivato da sempre con ottimi risultati. Per farla breve la pasta dovette attendere circa 1500 anni, anzi esattamente 1532 anni fino a quando sbarcò il fagiolo. Questa nuova specie si fece subito notare e catturò le simpatie del Clero. Il fagiolo americano deve il suo successo ad un sacerdote e letterato: Pietro Valeriano Bolzanio, un bellunese che nel borgo natio di Castion seminò e seguì scrupolosamente le sementi che aveva portato da Roma. I fagioli gli sono stati consegnati personalmente da Papa Clemente VII con il preciso intento di farli fruttificare in nuove regioni. In breve tempo, una folta vegetazione di foglie seguita da una insolita fioritura di gemme che rapidamente si trasformarono in baccelli pieni di legumi, svettò dalle finestre della canonica: era il Phaseolus vulgaris, una nuova specie di pianta esotica portata dal Nuovo mondo che l’imperatore Carlo V aveva fatto dono al Papa. Pietro Valeriano intuì, quasi subito, le grandi possibilità di espansione della nuova pianta che riuscì ad acclimatarsi, senza difficoltà, nella terra e negli orti, nelle vallate e sulle colline. Il fagiolo nel giro di pochi anni si diffuse nelle aree a clima temperato-caldo ampliando notevolmente l’areale di coltivazione:


I fagioli americani si imposero molto rapidamente soppiantando, quasi dappertutto, i fagioli antichi e medievali anche nelle denominazioni popolari: fasoulia, per i greci, fasulè per gli albanesi, fasola per i polacchi, fayot e flageolet per i francesi, ecc.
. Da allora si è diffuso in tutte le regioni diventando un componente fondamentale nella dieta delle popolazioni italiane e non solo. Massima espressione si registrò in alcune zone di produzione tra tutte Lamon, Sarconi e Sorana[1].

Ormai universalmente conosciuti in gran parte dell’Europa, si aprì un periodo particolarmente fortunato per il fagiolo che trovò utilizzazione in tutti i ricettari più autorevoli dell’epoca, al punto che Caterina de’ Medici, promessa sposa al Delfino francese, Enrico II di Francia, oltre a portare uno strumento nuovo: la forchetta e molti cuochi professionisti, tra i suoi gioielli erano compresi alcuni sacchi di fagioli, dono a loro volta del fratello Alessandro de’ Medici, che serviranno, anni dopo, a confezionare uno dei mitici piatti nazionali francesi: il cassoulet della Linguadoca (umido di oca, anatra, maiale o castrato con fagioli bianchi).


Oggi i fagioli tipici di diverse zone italiane rappresentano non solo un patrimonio enogastronomico ma anche culturale condiviso nella memoria collettiva popolare.


Se proprio è necessario definire in poche parole il ruolo dei fagioli nella nostra vita, ci sembra molto efficace quanto scrisse Umberto Eco, a proposito dell’invenzione chiave del millennio, in un famoso articolo pubblicato sul New York Times, dal titolo Questo nostro mondo salvato dai fagioli: “Se noi Europei figli di quei nostri antenati ma anche quegli americani, figli dei Padri pellegrini o dei conquistadores spagnoli, siamo ancora qui, questo è dovuto ai fagioli……senza i fagioli la popolazione europea non sarebbe raddoppiata in pochi secoli. Io non conosco la storia dei fagioli in altri continenti, ma certamente, senza i fagioli europei, anche la storia di quei continenti sarebbe stata diversa, così come la storia commerciale dell’Europa sarebbe stata diversa senza la seta cinese e le spezie dell’India”.
(Tratto dal libro: PASTA E fagioli: Dalla buona Terra alla buona tavola il piatto più nazionale d’Italia ED. OLTRE EBOLI di Terenzio Bove)



[1] Rispettivamente in Veneto, Basilicata e Toscana

1 commento:

Anonimo ha detto...

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